

Il dottor Lorenzo Piemonti è stato relatore al convegno organizzato dall’Associazione in occasione della cena degli auguri. Vice direttore del “Diabetes Reserarch Institut (DRI) IRCCS Istituto Scientifico San Raffaele di Milano nonché co-direttore del programma di ricerca “Trapianto di isole pancreatiche” e professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università “Vita-Salute San Raffaele” Milano, Piemonti ha anche scritto per noi questo articolo
“Cognitive healthcare” è una parola che sentiremo sempre di più nel prossimo futuro e probabilmente applicata alla prevenzione e al trattamento del diabete. In primis cerchiamo di capire meglio il concetto di “cognitive computing”. Il “cognitive computing” è la simulazione dei processi di pensiero umani in un modello computerizzato. Il “cognitive computing” comporta sistemi di auto-apprendimento che utilizzano il data mining, riconoscimento di forme e l’elaborazione del linguaggio naturale per imitare il modo in cui il cervello umano funziona. L’obiettivo è quello di creare un sistema automatizzato di intelligenza artificiale in grado di risolvere i problemi senza richiedere assistenza umana. I sistemi di cognitive computing utilizzano algoritmi di apprendimento automatico. Tali sistemi sono in grado di acquisire continuamente la conoscenza e perfezionano il loro modo di guardare i modelli, così come il modo in cui trattano dati. Di conseguenza diventano capaci di anticipare nuovi problemi e di modellare possibili soluzioni.
Perché il cognitive computing è così interessante per un campo come il diabete? Perché si stima che i determinanti della salute durante la vita cambieranno in modo sostanziale nei prossimi anni. I dati clinici (cartella clinica, dati ammnistrativi riguardanti l’accesso alle prestazioni sanitarie, risultati di laboratorio, etc.…) rappresenteranno circa il 10% del totale. A questo si aggiungeranno i dati derivati dalle “omiche”, considerate in senso lato (sequenziamento del genoma, proteomica, metabolomica, microbioma, etc…) e che costituiranno circa il 20% del totale. Il restante 70% sarà rappresentato dai dati esogeni includenti ad esempio la descrizione del comportamento, aspetti socio economici, stile di vita, studio dell’ambiente, nutrizione, esercizio.
La tecnologia avrà sempre più un ruolo chiave in questo contesto. La capacità di comunicazione e condivisione mediante i social networks continueranno a crescere mettendo a disposizione nuovi strumenti e piattaforme per accedere a informazioni. Avremo inoltre l’invasione degli “indossabili”, cioè tutta una serie di sensori e sistemi che registreranno in continuo il nostro comportamento (quanto mangiamo, cosa mangiamo, dove andiamo, quanto ci muoviamo, etc.) e molti nostri parametri biologici (temperatura, PH, frequenza cardiaca, pressione arteriosa, glicemia, etc.…) fornendo una quantità enorme di dati in grado di descrivere in termini comportamentali e biologici la nostra identità nella vita quotidiana. Lo smartphone costituirà un elemento sostanziale che servirà a raccogliere e trasmettere i dati esogeni.
Questo permetterà sempre di più lo sviluppo medicina di precisione per il diabete cioè avremo un maggior numero d’interventi predittivi, preventivi, mirati e collaborativi. L’incremento della conoscenza della biologia del diabete associata ai dati esogeni permetterà di sviluppare biomarcatori per individuare i soggetti a rischio per lo sviluppo della malattia. Avendo la possibilità di fare “diagnosi predittive “, il concetto di prevenzione diventerà, di fatto, la routine. Questo determinerà inevitabilmente un modello di assistenza sanitario diverso, dove l’attenzione si sposterà non sul paziente malato ma principalmente sul soggetto sano che sarà il destinatario d’interventi preventivi attraverso approcci terapeutici mirati a evitare l’insorgenza Del diabete.
L’incremento della conoscenza della biologia delle malattie associata ai dati esogeni permetterà di avere nei soggetti con malattia conclamate terapie mirate e specifiche. Avremo cioè trattamenti personalizzati che saranno i più efficaci per quel singolo paziente e i meno gravati da effetti collaterali. A dimostrazione di questa evoluzione generale del mondo della medicina, il 25% dei nuovi farmaci approvati dal FDA nel 2015 e il 35% di quelli oncologici sono stati etichettati per terapia personalizzata.
Alcuni problemi associati a questa rivoluzione sono già ampiamente prevedibili. Innanzitutto la possibilità di proporre terapie in funzione preventiva e non più curativa ha il rischio di medicalizzare precocemente la popolazione. Secondo, lo sviluppo di una terapia personalizzata necessariamente riduce l’indicazione terapeutica di un farmaco con la conseguente possibilità di incrementarne il costo. Terzo, sono necessari studi epidemiologici di vasta portata per mettere a fuoco i determinanti genetici e non di diverse patologie, con la necessità di avere a disposizione grosse banche dati che siano analizzabili, usabili, sicuri e rispettino i canoni della tutela della privacy. Quarto, la non sostenibilità economica per i sistemi sanitari rischia di compromettere l’utilizzo delle nuove medicine personalizzate. Cinque, l’impossibilità di gestire in modo adeguato l’enorme quantità di dati che saranno presenti per ogni singolo individuo. In questa prospettiva sarà sicuramente di aiuto il fatto che l’intelligenza artificiale, il cognitive computing e il machine learning si avvicinino all’“healthcare”.
Esistono già esempi di medicina cognitiva applicata alla terapia del diabete? Il primo prototipo è stato recentemente annunciato al 10th Annual Health 2.0 Fall Conference in California. Si tratta dell’applicazione cognitiva denominata Sugar.IQ, la prima nel suo genere che consente di rilevare modelli e tendenze importanti per le persone con diabete. Sugar.IQ utilizza il monitoraggio continuo del glucosio e le informazioni dei microinfusori. L’applicazione è stata progettata per fornire in tempo reale approfondimenti personalizzati su una singola piattaforma che riunisce i dati rilevanti, fornendo ai diabetici risposte circa il loro stato di salute attuale, il trend della loro salute, e le azioni che possono adottare per gestire meglio la loro condizione in futuro. L’applicazione Sugar.IQ potrà essere utilizzata per scoprire i comportamenti che influenzano i livelli di glucosio e inviare opportuni avvisi agli utenti. L’applicazione consentirà agli utenti di informarsi su come gli alimenti specifici impattano i loro livelli di glucosio personali, e il software sarà in grado di monitorare il cibo per fornire le informazioni associate ai pasti utili alle persone a controllare meglio il loro diabete. Questa rivoluzione è già in atto e imporrà a tutti noi un veloce adattamento culturale.
Prof Lorenzo Piemonti
Deputy Director Diabetes Research Institute, IRCCS Ospedale San Raffaele – Milano